In attesa di conoscere le motivazioni della sentenza che ha condannato Antonio Giraudo a tre anni di reclusione per frode sportiva e associazione a delinquere (per quest'ultima colpevole ma non promotore insieme a Moggi, recita il dispositivo), non possiamo esimerci da un primo commento.
Il nostro lavoro, svolto sempre nella massima convinzione che si sia basato e continui a basarsi su dati e situazioni oggettive, continuerà con la massima determinazione.
Considerato il quadro che da sei mesi sta emergendo nel dibattimento di Napoli, oggi più che mai restiamo convinti che la scelta del rito abbreviato concordata da Giraudo con i suoi legali sia stata una scelta strategicamente sbagliata. Detto questo, tuttavia, rispettiamo la sentenza di un tribunale ordinario com'è giusto che sia, a maggior ragione avendo già preannunciato l'avvovato Krogh (uno dei legali di Giraudo, n.d.r.) il ricorso in appello.
La sensazione di aver rinunciato con troppa superficialità alla possibilità di smontare in aula le accuse rivolte dai P.M. alla presunta "Cupola" del calcio rimane comunque forte e suona oggi come una beffa sulla quale sarà inevitabile recriminare, a prescindere dall'esito finale che la posizione di Giraudo assumerà sul piano giudiziario.
L'unico augurio che ci sentiamo di fare all'ex A.D. della Juventus è di poter ripercorrere le stesse tappe del tristemente noto processo doping, quando alla condanna del giudice Casalbore (allora inflitta al dottor Agricola, non a Giraudo) seguì l'assoluzione piena della corte d'Appello di Torino.
Come detto all'inizio, le ragioni per auspicarlo non mancano. E sono molte, moltissime di più di una semplice speranza da tifosi.
L'abbreviato era la scelta da fare?
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