La deposizione di Massimo Cellino, presidente del Cagliari da circa 18 anni, era molto attesa per diverse ragioni: la prima, va da sé, è che Cellino si è fatto attendere, non presentandosi in tribunale per ben tre volte; la seconda è la sua indubbia popolarità all'interno del mondo del calcio italiano, in cui è noto per il suo carattere fumantino, "esuberante", finanche "indisciplinato", questi i termini utilizzati dal giudice Teresa Casoria per descrivere qualche intemperanza del teste, incalzato da magistrati ed avvocati: un personaggio non banale insomma, da cui attendersi sempre qualche sorpresa; la terza, infine, è che la deposizione di Cellino era molto importante nel merito, per corroborare alcune tesi dell'accusa e per far luce su alcuni aspetti, invero misteriosi, dell'inchiesta, soprattutto per quanto concerne gli esordi della stessa.
La fondatezza degli elementi da cui sono scaturite le intercettazioni che hanno cambiato il volto del calcio italiano; i rapporti tra l'arbitro De Santis e la GEA, ed eventualmente Luciano Moggi; l'eventuale vendetta del De Santis nei suoi confronti; il presunto tradimento dei Della Valle nei confronti del fronte delle piccole, costretti ad andare a Canossa per elemosinare favori arbitrali. Argomenti non certo di poco conto, è chiaro. Il responso? Contraddittorio.
La memoria del presidente sardo è selettiva, a tratti confusionaria e in difficoltà nel dare un ordine cronologico agli eventi: talvolta smentisce le sue dichiarazioni a verbale, salvo poi riconfermarle quando incalzato dal Pm Capuano. Si appella spesso ai due anni e passa trascorsi dalla sua testimonianza di fronte alla polizia giudiziaria, ai cinque dall'epoca dei fatti, e al racconto che della vicenda è stato fatto dai media. Interrogato riguardo ad alcuni fatti non ricorda se li ha appresi a mezzo stampa o in altro modo, nega però che la sua deposizione (un anno dopo lo scoppio di Calciopoli circa) sia stata influenzata dalla lettura dei quotidiani, un assunto francamente indimostrabile.
A intramezzare la sua testimonianza con frequenza sono i "si dice", le voci di corridoio, le chiacchiere, i luoghi comuni, come lui stesso li chiama. Argomenti, ammetterà lui stesso, buoni da utilizzare per uno sfogo da tifoso frustrato, come gli accade al telefono, ma inconsistenti per fungere da base per un'accusa seria. Del resto, dirà nel corso della deposizione, a proposito della famosa telefonata con Ghirelli, segretario FIGC, in cui accusa De Santis: "Non potendomi permettere di accusare nessuno... mi sfogavo con una persona che sapeva capire... non è una denuncia, se io ho delle prove la faccio... non ho dati a suffragio", riferendosi alle proprie parole come "atti di mia poca lucidità". Uno sfogo post-partita, che a risentirlo oggi, sostiene, lo mette in imbarazzo e di cui si vergogna.
Dal principio: Messina-Venezia
L'inizio di tutta Calciopoli. Campionato di serie B, stagione 2003/2004: il Messina di Franza e Fabiani, che combatte per la promozione, incontra il Venezia di Franco Dal Cin, in campo neutro a Bari. Tutto inizia e tutto finisce in campo neutro a Bari, scherzi del destino.
Arbitra Palanca di Roma e il Venezia, a fine partita, si lamenterà per la direzione di gara. La partita passa alla storia per la scazzottata selvaggia del portiere Soviero che affronta l'intera panchina del Messina: tre - di cui due sacrosante - le espulsioni comminate da Palanca ai lagunari, più un rigore dubbio assegnato al Messina.
I magistrati Narducci e Beatrice, della procura di Napoli, alle prese con un'inchiesta sul calcioscommesse, ascoltano il giocatore di serie C2 Ambrosino, vicino a un giro di scommesse illegali, sostenere che la partita finirà sicuramente con la vittoria del Messina, per volontà dell'"uomo nero", riconosciuto nell'arbitro Palanca. Tale convinzione deriverebbe dalla confidenza fattagli da Salvatore Aronica, oggi al Napoli, ai tempi terzino del Messina nell'orbita GEA.
Narducci e Beatrice interrogheranno quindi Franco Dal Cin, il presidente del Venezia che, con la sua testimonianza, cambierà il corso delle indagini, riferendo di arbitri - De Santis, Gabriele, Palanca: la celeberrima "combriccola romana" - al servizio delle squadre della GEA, riconosciute nella Juventus di Luciano Moggi e nel Messina di Mariano Fabiani. Affermazioni senza riscontro alcuno, invero, come ha precisato Dal Cin nella sua deposizione davanti al giudice, ma che comunque hanno consentito l'avvio delle intercettazioni per un gran numero di imputati.
Oggi sappiamo: 1) che la GEA non era un'associazione a delinquere, come da sentenza del Tribunale di Roma; 2) che la "combriccola romana", stante l'archiviazione per Palanca e l'assoluzione nel rito abbreviato per Gabriele, non esiste; 3) che Messina-Venezia fu una partita regolare; 4) che le affermazioni di Dal Cin erano basate su sensazioni, per sua stessa ammissione.
Dal Cin riferì che a metterlo in guardia sull'arbitro Palanca furono tre colleghi, casualmente tutti avversari del Messina nella lotta per la promozione, ossia Zamparini, patron del Palermo, Spinelli, presidente del Livorno, e per l'appunto Cellino, che gli telefonarono dicendogli che era già "spacciato", una volta conosciuto il nome dell'arbitro che avrebbe diretto l'incontro.
Vediamo quindi su quali basi Cellino telefonò a Dal Cin per avvertirlo della presunta malafede del Palanca.
Comincia con un'excusatio non petita: come presidente di Serie B, aveva votato in Lega perché la partita si giocasse a Bari, nonostante le pressioni di Franza per un luogo più vicino a Messina, ma senza alcuna intenzione di danneggiare i peloritani, che pur erano suoi concorrenti nella lotta per la Serie A.
Inizialmente Cellino sostiene di essere stato chiamato da Dal Cin, e non il contrario come finora noto, e che sia stato il presidente del Venezia a raccontargli dei suoi sospetti sull'arbitro Palanca, instillatigli dall'allenatore Gregucci, già vice di Mancini alla Fiorentina, nell'orbita GEA, anch'egli poi espulso durante l'incontro, il quale avrebbe indicato l'arbitro romano come "arbitro della GEA". Cellino gli avrebbe finanche risposto con sufficienza: "Giocatevi la partita, Franco".
Poi gli viene fatto leggere il verbale in cui risulta che fu lui a chiamare Dal Cin, consigliandogli di risparmiare i soldi della trasferta, in quanto il risultato era già scritto. Dapprima si corregge, poi afferma di non ricordare l'effettiva dinamica ma che comunque su Palanca "si vociferava", "si riportano luoghi comuni", "per sentito dire", erano "voci insistenti", ma "non ho nessuna prova". Unico elemento: l'ex arbitro Carlo Longhi, moviolista della Domenica Sportiva, gli telefona quel giorno (ah, ma allora i moviolisti non sono solo amici di Moggi...) per comunicargli che De Santis ha accompagnato Palanca in aeroporto. Elemento a prova del fatto che De Santis e Palanca, ebbene sì, erano amici. Punto.
Infine Cellino ammette che "magari ho parlato a sproposito" e che "se certe cose non le sapevo le ho lette dopo sui giornali".
"Luciano queste cose non le faceva"
Si passa dunque a Fiorentina-Cagliari della stagione 2005/2006, terminata 2-1 per i viola in rimonta. L'arbitro è il già assolto Gabriele, gli episodi arbitrali contestati un possibile rigore nel primo tempo per i sardi, e le espulsioni nel finale, entrambe per doppia ammonizione, dei rossoblu Conti e Canini. Dal verbale di interrogatorio, Cellino ricorda che l'arbitro ciociaro, vedendolo litigare prima dell'incontro con alcuni addetti allo spogliatoio, lo avrebbe provocato dicendogli: "Sei nervoso adesso, figurati dopo la partita..." L'arbitraggio, secondo Cellino, fu scandaloso, ma, tiene a precisare con onestà intellettuale, "io tifo la mia squadra". Guardò la partita dietro ai fratelli Della Valle e a Davide Lippi, ai quali, al termine della partita, sta a verbale, si rivolse: "Complimenti alla GEA World!". Frase che ammette tranquillamente, ma di cui "non sono orgoglioso... potevo evitarla... ho sbagliato io" dice, ammettendo l'infondatezza di alcun legame immaginato tra arbitro e GEA. Gli viene contestato inoltre di aver verbalizzato a proposito di una telefonata di rimprovero da parte di Luciano Moggi il giorno successivo, per questa frase. Qui, Cellino è categorico: "No, Luciano queste cose non le faceva... forse ci parlai in Lega il giorno dopo."
L'arbitro Gabriele avrebbe quindi rifiutato di riceverlo per i saluti a fine gara.
De Santis contro Cellino?
La presunta acrimonia degli arbitri della cosiddetta "combriccola romana" nei confronti di Cellino, poteva anche essere motivata proprio dalla sua telefonata con Dal Cin - fatto noto pubblicamente e uscito sui giornali - poi scaturita nella testimonianza del presidente veneziano, che portò alla sospensione degli arbitri Palanca e Gabriele, poi completamente scagionati, e a un'esposizione mediatica certo non richiesta anche per il De Santis. Acrimonia che certo non testimonia della colpevolezza rispetto ai fatti suddetti.
Anche Cellino pare convenire, allorquando commenta il famoso Reggina-Cagliari 3-2, per cui unico rinviato a giudizio è De Santis, che avrebbe voluto, secondo i magistrati, vendicarsi di queste affermazioni. Ecco come descrive il loro rapporto: "Era un arbitro a cui non stavo molto simpatico.... atteggiamenti... modo di arbitrare che aveva... secondo me non era un arbitro che arbitrava bene... non nutrivo fiducia in lui... anche se come arbitro aveva qualità ."
Cellino è preoccupato quando De Santis sostituisce l'arbitro designato Rosetti, che deve abbandonare per motivi familiari, proprio per queste ragioni, e lo testimonia il fatto che, prima della partita, vada da lui, offrendogli una spiegazione per quella telefonata: "Non sono stato solamente io", gli dice. De Santis gli avrebbe risposto che avrebbe dovuto farsi gli affari suoi, invece di andare a sparlare in giro, mostrandosi irritato.
"L'arbitraggio fu veramente penoso", sostiene poi il presidente del Cagliari, cui viene successivamente riportata la sua telefonata con Ghirelli, per lamentarsi dell'arbitraggio, dopo la partita. “Luciano Moggi ci fa l'occhiolino a tutti", "De Santis: un bastardo tra i peggiori al mondo", “Non sapeva più come aiutarli”,“La Reggina sappiamo di che colore è”,"Che vada ad arbitrare la Juve fisso e non ci rompa i coglioni", "Sai quali sono le squadre che hanno il più alto numero di GEA? Messina e Reggina.", queste le frasi di cui è tenuto a dar conto.
Riguardo alla Reggina "si dice era vicina a Luciano Moggi", ma "dopo non mi sembrava neppure". Che significa vicina? "Amici, buoni rapporti..."
Ammette che si tratta di "sfoghi anche un po' esagerati... oggi confermo certe cose, mentre su altre ho esagerato." Riguardo ai giocatori della GEA presenti nelle due squadre, mostra, incalzato dal legale di Fabiani, di non ricordarne in verità alcuno. La Morescanti gli ricorda quindi che come direttore sportivo del Messina, Fabiani cedette 7 giocatori su 8 della GEA, presenti in rosa.
Derubrica infine la telefonata a sfogo post-partita, per cui ora prova vergogna e imbarazzo, soprattutto risentendo alcune sparate troppo colorite.
La scelta di Della Valle
Cellino fu uno dei propulsori del fronte delle squadre medio-piccole che, in quegli anni, cercava di opporsi al potere delle grandi (Juventus, Milan e Inter, sì già l'Inter), sia in tema di diritti tv, che di scelte federali. Il carisma di una figura di industriale di spicco come Della Valle riuscì, secondo Cellino, a compattare il gruppo e a dargli una guida, permettendo che fosse un'alternativa seria e possibile alla gestione del calcio che esprimeva Carraro presidente federale e Galliani presidente di Lega. "Ci ha dato la forza di combattere" dice in riferimento al patron marchigiano.
Mantenne però questa posizione di guida "fino a un certo punto... il calcio è una brutta bestia... stava per retrocedere... lo vidi molto provato io." Riassume per sommi capi, e con diverse inesattezze temporali, rivelerà poi il controesame, la storia del movimento formato da 13 squadre, e che esprimeva come rappresentanti in Lega lo stesso Cellino come presidente della Serie A e Zamparini come Vice Presidente Vicario. Il gruppo decise di esprimere un candidato federale alle elezioni, trovato in Abete, scegliendo però una tattica attendista, al fine di non esporsi in caso di vittoria di Carraro, temendo ripercussioni politiche sfavorevoli. Abete però, con il consenso di Della Valle, concordò infine con Carraro un passaggio del testimone graduale, facendo convergere il voto su di lui, per poi alternarsi alla guida della FIGC, due anni ciascuno.
Questa scelta, che non era stata discussa da Cellino e presumibilmente da altri, fu vissuta come un tradimento, tanto che ebbe a dire che la battaglia di Della Valle fu solo un modo per "cercare di entrare tra le grandi". Dichiarazione che oggi definisce "avventata". Perché Della Valle, però, abbia abbassato la testa, Cellino non lo sa, e non fa alcun riferimento ad errori arbitrali nei confronti della Fiorentina.
Tombolini terrorizzato e Racalbuto arrogante
Nonostante il perseverare nelle domande dei magistrati e degli avvocati di parte civile per l'unica partita che chiama in causa la Juve, Cagliari-Juventus, appunto, terminata sull'1 a 1, gli elementi di cui dispone il Cellino sono minimi. Rileva soltanto l'arroganza del Racalbuto nei confronti dei suoi giocatori, da cui l'arbitro calabrese non accetta proteste, mostrandosi invece magnanimo con i bianconeri. E' un atteggiamento, sottolinea Cellino, da sempre presente negli arbitri, che perdonano volentieri i giocatori famosi delle grandi squadre, mentre si mostrano inflessibili con i giocatori di provincia: succede ancora oggi.
Sempre nella stagione 2004/2005 il Cagliari viene battuto dal Milan con un goal, originato probabilmente da un fallo su un difensore rossoblu, ma convalidato da Tombolini. Quest'ultimo a fine gara, secondo Cellino, si mostra terrorizzato e si premura di chiedergli di "dire anche a Luciano che ho arbitrato bene", in quanto grazie alla rete dubbia, il Milan si era avvicinato pericolosamente alla Juve in classifica. Anche qui nulla di eclatante, se non la consapevolezza degli arbitri che i rappresentanti delle grandi squadre venivano ascoltati con attenzione dai designatori. Non solo la Juve.
I sorteggi truccati
Ancora qualche elemento interessante. Il primo è che, incalzato nel controesame, Cellino esprime la convinzione che comunque i sorteggi fossero truccati. Il motivo? "Casualità troppo strane." Un'ulteriore convinzione è, però, che Bergamo e Pairetto fossero, ad ogni modo, persone meravigliose, da lui difese fino alla fine e stimate per la loro professionalità. Ammette di averli chiamati per lamentarsi, seppur di rado, nella convinzione di non commettere alcunché di illecito.
E' chiamato inoltre ad esprimersi sul Fabiani, che non conosce e non saprebbe nemmeno riconoscere fisicamente. Vox populi dice che il Fabiani era un collega di Massimo De Santis, entrambi guardie carcerarie e amici intimi, poi misteriosamente approdato al calcio. Chi lo diceva? In tutti i bar della Lega, "lo sapevano anche i muri" dice Cellino. Altre voci riguardavano Franza che si sarebbe indebitato - si dice, ovviamente - per ottenere favori arbitrali. Le "dicerie" finiscono per irritare gli avvocati difensori, che ricordano il divieto codicistico di riferire impressioni e voci di corridoio, di oscura provenienza.
Il pubblico ministero invece incalza Cellino, convinto di sapere chi gli avrebbe riferito queste cose, ma il presidente non ricorda. Gli chiede infine chi fosse il direttore sportivo del Cagliari quell'anno. Cellino ricorda il nome di Nicola Salerno, negli anni precedenti direttore sportivo proprio del Messina, contro cui aveva lanciato i suoi strali una volta accantonato per far posto a Fabiani. Salerno, oggi alla Salernitana, artefice, tra le tante cose, del passaggio di Suazo all'Inter, era stato curiosamente coinvolto nell'inchiesta sul calcioscommesse che, abbiamo ricordato, portò a Calciopoli, venendo indicato come "il santone", nel gergo della banda di scommettitori. La sua posizione fu però archiviata.
Infine Cellino prende una topica clamorosa sostenendo di sapere, sempre dai corridoi, che Fabiani, prima di lavorare in Sicilia, avesse precedentemente lavorato con la Juventus. Circostanza del tutto falsa, spiega nel suo intervento spontaneo Luciano Moggi.
Cellino: "Avessi avuto delle prove, avrei denunciato"
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