Riportiamo, per gentile concessione dell'autore, Davide Giacalone, un articolo pubblicato su "Libero" e che potete leggere anche visitando il sito www.davidegiacalone.it.
Se ho ben capito, dopo tre anni d’inchiesta, si sarebbe giunti alla conclusione che sono stato, con molti altri, pedinato, spiato, dossierato, intercettato nelle mail ed il mio computer è stato svuotato a cura di un gruppo di curiosoni senza mandante e senza missione, cui ora, doverosamente, chi li pagò chiede indietro i soldi. Premesso che, da incallito garantista, ho sostenuto che la lentezza della giustizia danneggia tutti gli accusati, o sospettati ingiustamente, ricordo che la medesima non giova neanche alla trasparenza e moralità del mercato. E premesso ancora che noi attaccammo il governo Prodi, ed il piano di Rovati quale indebita intromissione nelle vicende di una società privata, difendendo l’autonomia di Telecom Italia e di chi la dirigeva, Tronchetti Provera, non per questo mi convince la faziosità che divide buoni e cattivi a seconda degli avversari o della compagnia, magari di bandiera, che si ritrovano. Anche perché si tratta di cose mutevoli. Quindi, sempre per garantismo, attenderò ancora anni per conoscere la verità processuale, che non si vede neanche all’orizzonte e sarà inutile. Nel frattempo non rinuncio a raccontare quel che vedo e che in Italia si tace. Come quel che segue.
A Rio de Janeiro si parla moltissimo di Milano ed i giornali sono pieni di faccende italiane. In Italia se ne parla poco e niente, mentre a Milano la procura accusa Pirelli e Telecom come persone giuridiche, senza accusare le persone che le dirigevano. Alcuni dipendenti avrebbero corrotto, ma non si sa se per tutelarne gli interessi o sfuggendo ai controlli. Intrigante, ma poco ragionevole.
Daniel Dantas, in Brasile, è stato arrestato tre volte e tre volte subito rilasciato. Fu prima partner e poi avversario di Telecom Italia in Brasil Telecom, raggiungendo, infine, un accordo con Tronchetti. Poi Rossi decise di mettere quella partecipazione in un trust cieco ed è stata liquidata sancendo la sconfitta italiana. Dantas è stato vicino all’ex presidente, Cardoso, e con l’arrivo di Lula al potere se la sono vista meglio gli italiani, prima Colaninno e poi Tronchetti. Quest’ultimo aveva un consulente liban-brasiliano, Naji Nahas, che usava farsi pagare in contanti, per milioni, al punto che occorreva mobilitare furgoncini blindati. La cosa interessante è questa: il consulente di Tronchetti è stato poi preso da Dantas, con l’incarico, secondo la procura che lo ha arrestato, di pagare tangenti al PT, il partito di Lula.
Dantas, dunque, era ammanicato da tutte e due le parti del mondo politico brasiliano. Ciò serve a capire quel che ci riguarda. Dice Dantas: la ragione dei miei arresti risiede in una vendetta per quel che ho raccontato ai magistrati di Milano. Dice il governo Lula: si deve riaprire l’inchiesta su quel che Telecom Italia ha combinato in Brasile. I nostri lettori ne sanno già molto, perché sono fra i pochi ad averne potuto leggere, ma ho la sensazione che i brasiliani cerchino di risolvere i loro imbarazzi interni rivolgendo l’artiglieria contro gli italiani.
Torniamo a Milano. La procura trovò ed arrestò gli spioni, che, dopo anni, non sono neanche rinviati a giudizio e la loro presunzione d’innocenza è intatta, così come il buio che li circonda. Scrivemmo anni fa: o i capi di Telecom sapevano, o non hanno saputo fare il loro dovere. Confermo, ed attendo. Ma se dal Brasile giungessero conferme sull’attività corruttiva lì svolta, se si appurasse che il collettore è sempre lo stesso, prima al servizio di uno e poi dell’altro, se lì il Parlamento aprisse, com’è stato chiesto, una commissione d’inchiesta, noi, qui che facciamo, fischiettiamo? E se quei crimini sono stati commessi, dobbiamo credere che sia solo una perversione del capo degli spioni? La procura ha stralciato questo filone d’indagine, ma è una storia che abbiamo raccontato già nel 2003!
Farsi dare lezioni di moralità finanziaria e politica dai brasiliani è meraviglioso, e va a finire che per il prossimo carnevale vengono loro da noi.
Davide Giacalone
Se ho ben capito, dopo tre anni d’inchiesta, si sarebbe giunti alla conclusione che sono stato, con molti altri, pedinato, spiato, dossierato, intercettato nelle mail ed il mio computer è stato svuotato a cura di un gruppo di curiosoni senza mandante e senza missione, cui ora, doverosamente, chi li pagò chiede indietro i soldi. Premesso che, da incallito garantista, ho sostenuto che la lentezza della giustizia danneggia tutti gli accusati, o sospettati ingiustamente, ricordo che la medesima non giova neanche alla trasparenza e moralità del mercato. E premesso ancora che noi attaccammo il governo Prodi, ed il piano di Rovati quale indebita intromissione nelle vicende di una società privata, difendendo l’autonomia di Telecom Italia e di chi la dirigeva, Tronchetti Provera, non per questo mi convince la faziosità che divide buoni e cattivi a seconda degli avversari o della compagnia, magari di bandiera, che si ritrovano. Anche perché si tratta di cose mutevoli. Quindi, sempre per garantismo, attenderò ancora anni per conoscere la verità processuale, che non si vede neanche all’orizzonte e sarà inutile. Nel frattempo non rinuncio a raccontare quel che vedo e che in Italia si tace. Come quel che segue.
A Rio de Janeiro si parla moltissimo di Milano ed i giornali sono pieni di faccende italiane. In Italia se ne parla poco e niente, mentre a Milano la procura accusa Pirelli e Telecom come persone giuridiche, senza accusare le persone che le dirigevano. Alcuni dipendenti avrebbero corrotto, ma non si sa se per tutelarne gli interessi o sfuggendo ai controlli. Intrigante, ma poco ragionevole.
Daniel Dantas, in Brasile, è stato arrestato tre volte e tre volte subito rilasciato. Fu prima partner e poi avversario di Telecom Italia in Brasil Telecom, raggiungendo, infine, un accordo con Tronchetti. Poi Rossi decise di mettere quella partecipazione in un trust cieco ed è stata liquidata sancendo la sconfitta italiana. Dantas è stato vicino all’ex presidente, Cardoso, e con l’arrivo di Lula al potere se la sono vista meglio gli italiani, prima Colaninno e poi Tronchetti. Quest’ultimo aveva un consulente liban-brasiliano, Naji Nahas, che usava farsi pagare in contanti, per milioni, al punto che occorreva mobilitare furgoncini blindati. La cosa interessante è questa: il consulente di Tronchetti è stato poi preso da Dantas, con l’incarico, secondo la procura che lo ha arrestato, di pagare tangenti al PT, il partito di Lula.
Dantas, dunque, era ammanicato da tutte e due le parti del mondo politico brasiliano. Ciò serve a capire quel che ci riguarda. Dice Dantas: la ragione dei miei arresti risiede in una vendetta per quel che ho raccontato ai magistrati di Milano. Dice il governo Lula: si deve riaprire l’inchiesta su quel che Telecom Italia ha combinato in Brasile. I nostri lettori ne sanno già molto, perché sono fra i pochi ad averne potuto leggere, ma ho la sensazione che i brasiliani cerchino di risolvere i loro imbarazzi interni rivolgendo l’artiglieria contro gli italiani.
Torniamo a Milano. La procura trovò ed arrestò gli spioni, che, dopo anni, non sono neanche rinviati a giudizio e la loro presunzione d’innocenza è intatta, così come il buio che li circonda. Scrivemmo anni fa: o i capi di Telecom sapevano, o non hanno saputo fare il loro dovere. Confermo, ed attendo. Ma se dal Brasile giungessero conferme sull’attività corruttiva lì svolta, se si appurasse che il collettore è sempre lo stesso, prima al servizio di uno e poi dell’altro, se lì il Parlamento aprisse, com’è stato chiesto, una commissione d’inchiesta, noi, qui che facciamo, fischiettiamo? E se quei crimini sono stati commessi, dobbiamo credere che sia solo una perversione del capo degli spioni? La procura ha stralciato questo filone d’indagine, ma è una storia che abbiamo raccontato già nel 2003!
Farsi dare lezioni di moralità finanziaria e politica dai brasiliani è meraviglioso, e va a finire che per il prossimo carnevale vengono loro da noi.
Davide Giacalone